Negli ultimi due-tre anni il mondo del lavoro ha registrato cambiamenti senza precedenti. Lo spostamento di milioni di lavoratori nel remote working è stato quello più visibile e discusso, ma non è stato il solo. La maggiore sorpresa si è avuta con l’emergere della Great Resignation, la tendenza di moltissimi dipendenti a dimettersi spontaneamente dalle loro posizioni. Alcuni hanno visto in questo una sorta di malessere sociale legato alla pandemia. Indubbiamente la crisi sanitaria ha avuto un ruolo, ma non è stata una causa diretta; sicuramente è valsa ad accelerare fenomeni già in atto, creando il contesto sociale e psicologico in cui si sono affermati paradigmi del lavoro del tutto nuovi.
Descrivere questa trasformazione non è facile e servono parole adatte a farlo. In pochi mesi si è passati dal concetto di Great Resignation a quello di Great Reshuffle per sottolineare che, mentre molti lavoratori si dimettono, tanti altri trovano occupazione in altri ruoli e settori. Questa tendenza è particolarmente forte negli Stati Uniti, ma si ritrova anche in Italia. Un grande “rimescolamento”, dunque, dovuto a vari fattori, tra cui la fuoriuscita da posizioni non soddisfacenti e la ricerca di maggiore sintonia con la cultura aziendale, migliori retribuzioni, migliori possibilità di carriera, minori carichi di lavoro od orari lavorativi più accettabili. Ma anche questo concetto è parso non raccontare tutta la storia.
Una spiegazione più interessante è stata fornita da Ranjay Gulati su Harvard Business Review, dove ha proposto il concetto di Great Rethink.